PERCHE’ L’ORGANIZZAZIONE SANITARIA NELLA FASE 2 NON PUO’ FALLIRE

La gestione della pandemia Covid-19 nella fase 2 porterà ad una stretta convivenza con il virus. Diventa prioritario in questa fase sviluppare modelli organizzativi per la rete ospedaliera che possano essere integrati con la medicina territoriale per la presa in carico dei pazienti.
In una prima fase della pandemia, l’Italia ha risposto con una strategia improntata principalmente sulla ospedalizzazione. Gran parte dei cittadini con sintomatologia sospetta si è infatti riversata nei pronto soccorso degli ospedali più vicini per ricevere cure tempestive; azione rivelatasi poi un boomerang a tal punto che qualche settimana più tardi è stato fortemente sconsigliato qualsiasi accesso in PS, tranne nei casi di effettiva emergenza.
Così, i tanti accessi impropri in ospedale, quasi mai filtrati dalla medicina generale, hanno spesso facilitato la diffusione del virus. Problema del tutto prevedibile, dal momento che, in questi ultimi anni, il taglio dei posti letto negli ospedali non è stato sostituito o integrato da un ampliamento dell’offerta nei servizi del territorio.
Dopo le incertezze dalla fase 1, oggi i cittadini si aspettano di rientrare a pieno titolo all’interno di un sistema sanitario ben pianificato, sicuro e capace di rispondere alla domanda di salute dei prossimi mesi.
Un primo punto dal quale sembra davvero difficile prescindere anche nella fase 2, riguarda il sistema di tamponamento che, auspicabilmente, dovrà essere diffuso su tutto il territorio nazionale in un numero coerente con i dati epidemiologici di ciascuna regione, a prescindere dai riflessi di natura economica.
A ciò dovrà affiancarsi un sistema più trasparente e puntuale di approvvigionamento e distribuzione dei DPI certificati per tutti gli operatori sanitari, ivi compresi quelli coinvolti nell’assistenza domiciliare per i pazienti positivi al SARS-CoV-2.
Si sta discutendo in questi giorni sulla possibilità di individuare solo alcuni ospedali come ‘Hub Covid’, piuttosto che differenziare all’interno dello stessa struttura i percorsi Covid da quelli Covid-free. Coerentemente con le scelte regionali, nella fase 2 si dovrà attuare una riorganizzazione del lavoro dei sanitari, ad esempio attraverso una ridistribuzione dei turni in 6-7 giorni per evitare concentrazione di pazienti nell’ambiente ospedaliero, unitamente a forme di distanziamento sociale all’interno delle sale d’attesa. Dopo due mesi di lockdown, e alla luce di una timida decrescita della curva dei contagi, è importante la ripresa in totale sicurezza di tutte le prestazioni assistenziali non urgenti che nella prima fase dell’epidemia erano state sospese.
Ci si aspetta altresì una riorganizzazione dei Dipartimenti di Emergenza e Accettazione (DEA) o dei Pronto Soccorso con netta separazione tra aree Covid e aree non-Covid oltreché l’implementazione delle procedure di pre triage prima dell’accesso. Nel caso in cui gli spazi non consentano la differenziazione tra le aree all’interno del DEA o del PS, si dovrebbe prevedere l’accesso di ciascun paziente positivo direttamente ai reparti Covid.
La scelta di un modello organizzativo ospedaliero che tenga conto dei nuovi bisogni e che sia coerente ed integrato con la medicina del territorio, potrebbe rappresentare un primo passo verso il lunghissimo processo che porterà, forse, a rivedere il servizio sanitario italiano.
Le scelte politiche e tecniche in questo momento non possono fallire.
Innanzitutto perché la lieve diminuzione dei contagi non può tradursi nella fine della pandemia. Anzi. Conviveremo con il virus per molti mesi e pertanto tutte le misure di contrasto alla sua diffusione sono oggi ancora essenziali.
È importante evitare il fallimento perché se ciò accadesse, significherebbe non aver colto l’occasione di migliorarsi, non aver valorizzato gli investimenti fatti e i sacrifici del personale sanitario impegnato nella tutela della salute in questi mesi.
E ancora perché le tante crepe del servizio sanitario nazionale, emerse in modo netto in questa emergenza, devono essere un input per riscrivere la nuova sanità del futuro.
E infine perché i cittadini hanno bisogno di sapere se i principali attori della sanità (politici, manager, tecnici) sono realmente disposti ad un cambiamento epocale, oggi necessario e doveroso.

Giorgia Tedesco
Economista sanitario

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