TELEMEDICINA: UN EVERGREEN CHE DAGLI ANNI 70 FATICA AD ESSERE IMPLEMENTATO

Telemedicina: un evergreen che dagli anni ‘70 fatica ad essere implementato

L’emergenza Covid-19 ha reso necessaria l’individuazione di strumenti atti a ridurre i gap del Servizio Sanitario Nazionale emersi nel corso della pandemia.
Tra questi, anche i modelli di assistenza ‘da remoto’, più comunemente noti come ‘Telemedicina’, in queste ultime settimane tornati in auge anche se in maniera diversificata tra le regioni.
Soprattutto in un momento di emergenza sanitaria come questo, per contrastare la diffusione del virus, particolarmente vantaggiosi sembrerebbero i servizi di assistenza di telemedicina, ossia – secondo una definizione del Ministero della Salute- i ‘servizi di assistenza sanitaria, tramite il ricorso a tecnologie innovative, in cui il professionista della salute e il paziente non si trovano nella stessa località. La Telemedicina va assimilata a qualunque servizio sanitario di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione e monitoraggio’.
Rappresenta dunque un modello assistenziale capace di abbracciare, in base alla tipologia di prestazione erogata, sia il mondo dell’assistenza specialistica che quello della medicina generale, mettendo in relazione medico e paziente fisicamente dislocati in sedi diverse.
Nonostante il sostegno da parte degli enti centrali (nel 2011 è stato istituito il tavolo tecnico presso il Consiglio Superiore di Sanità che ha emanato le ‘Linee di Indirizzo nazionali’), la Telemedicina è rimasta confinata in qualche realtà, priva però di un impatto definito nella pratica clinica.
E se in una prima fase della pandemia titoloni di giornali e dichiarazioni di molti tecnici lasciavano presagire un nuovo accentramento delle competenze in materia sanitaria a livello nazionale, nelle ormai famose Fasi 2 e 3, con il ‘benestare’ del governo, stiamo invece assistendo ad una nuova ‘devolution’ regionale.
Basti pensare, ad esempio, al Decreto Legge n.33/2020 con cui il Governo demanda alle Regioni tutta una serie di misure atte a contrastare l’emergenza sanitaria nei propri territori, concedendo libertà di iniziativa. Ça va sans dire, ció ha amplificato la diversificazione nel modus operandi delle Regioni che – capitanate dai loro Governatori ed Assessori alla Sanità pronti sui blocchi di partenza- hanno iniziato la loro competizione, muovendo tra delibere e progetti per l’integrazione dei servizi sanitari territoriali – inclusi i servizi di telemedicina. Una corsa – si potrebbe azzardare – verso un podio privo di una codifica comune, il cui premio finale dovrebbe essere da un lato la salute dei cittadini e dall’altro l’efficentamento del sistema sanitario locale.
Ma la competizione ha riguardato anche tante aziende ospedaliere, che in quanto a prontezza, originalità ed efficienza, hanno puntato ad un riconoscimento speciale nell’ottica di garantire servizi innovativi e di qualità.
Tante belle idee, in molti casi anche portate a compimento, tante iniziative e progetti che sfortunatamente non seguono una strategia comune.
Permangono infatti moltissime barriere. In primis, non è chiaro se i servizi di Telemedicina siano appannaggio dell’ospedale (più largamente inteso) o dalle medicina generale; la mancanza di specificità nei ruoli certamente non ne favorisce l’integrazione. Bisognerebbe poi sciogliere diversi nodi riguardanti, ad esempio, la capacità di governare l’ingresso di nuove tecnologie garantendone l’immissione nella pratica clinica, la definizione della responsabilità professionale, della riservatezza dei dati e del consenso informato.
In ultimo, bisognerebbe definire un sistema di riconoscimento del servizio di Telemedicina nei meccanismi di rimborso da parte del SSN .
La volontà di oltrepassare tali barriere non sembra essere stata una priorità negli ultimi anni.
La pandemia – forse- ci ha insegnato anche questo, a trasformare le tante parole in azioni concrete, perché il SSN oggi è al limite, ‘banalmente’ da un punto di vista delle risorse (scarsissime!), ma soprattutto per la difficoltà riscontrata di garantire a tutti il diritto alla salute.
Ormai è noto che il paziente debba essere sempre ‘posto al centro’, aggiungo però, non per colpirlo meglio (sic!) o come bersaglio per il raggiungimento di obiettivi personali, ben lontani da logiche di assistenza, ma per garantire il suo percorso di cura in modo dignitoso utilizzando tutti i mezzi di cui oggi disponiamo.

Giorgia Tedesco
Economista sanitario

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