Brindisi ha bisogno di progetti veri, non di slogan e divisioni sterili. Ripartire dalla comunità per dare un futuro a Brindisi.
Fare, non lamentarsi: la sfida che attende la nostra città.
di Carmine Dipietrangelo
Alcune reazioni ad una mia recente intervista su BrindisiTime mi spingono a tornare sull’argomento. Qualcuno ha letto (o meglio intravisto, senza leggere) le mie considerazioni come un “ritorno” del vecchio alla politica attiva. Qualcuno pensa addirittura che ho ancora funzioni e responsabilità.
Non è così, tranquilli!
Da vent’anni ho scelto di non impegnarmi direttamente in politica, ma questo non significa che abbia smesso di pensare, di interessarmi dei problemi comuni e di cercare, nel mio impegno agricolo e di lavoro vitivinicolo di dare un contributo concreto al territorio.
Il punto non è il mio futuro personale o familiare, ho anche una certa età (e come tanti genitori ha una figlia emigrata che lavora altrove!) ma quello della città.
Brindisi ha smesso di interrogarsi seriamente sul proprio domani. C’è una delega diffusa, ma non si capisce a chi. La mancanza di dialogo tra istituzioni, cittadini, imprese e forze sociali, l’assenza di confronti veri sulle scelte da compiere, la diffidenza verso chi propone idee diverse:tutto questo ha generato una città bloccata, sfiduciata e senza direzione.
I problemi sono sotto gli occhi di tutti: disoccupazione crescente, giovani che emigrano, natalità in calo, cassa integrazione in aumento, investimenti pubblici e privati che non arrivano. Intanto ci si divide su vecchie liturgie e contrapposizioni sterili, a vantaggio di una mediocrità politica ormai inadeguata.
Ma il futuro non può essere ancora rinviato.
Servono tre cose: progetti concreti, risorse disponibili, interlocutori credibili. E servono trasparenza, responsabilità, partecipazione autentica – non la solita partecipazione di facciata. Occorrono luoghi istituzionali dove discutere insieme del futuro della città.
Si continua a parlare di PNRR, ma molti fondi sono stati decisi altrove e rischiano di sfumare, come nel caso del collegamento ferroviario con l’aeroporto. Ci si accapiglia sulla multiservizi, con giudizi ipocriti da parte degli stessi che hanno contribuito al suo disastro. Si evocano transizioni energetiche e riconversioni ecologiche senza misurarsi seriamente con le conseguenze di certe scelte. Non c’è chiarezza sulla pianificazione urbanistica: che fine ha fatto il PUG? E perché si parla così poco del riconoscimento UNESCO dell’Appia Antica, che attraversa Brindisi come suo terminale storico?
È tempo di una nuova visione di sviluppo: sostenibile, concreta, inclusiva.
Sì alle imprese che creano lavoro in modo trasparente. Sì a un’industria più leggera e non inquinante. Sì a una transizione energetica fatta di progetti veri e non di slogan. Sì a un porto finalmente produttivo e infrastrutturato. Ho proposto più volte un patto per lo sviluppo e ho salutato positivamente le iniziative legislative proposte dall’on. D’Attis per semplificare e responsabilizzare soggetti e procedure per la reindustrializzazione post produzione energetica da carbone.Un patto per uno sviluppo duraturo che non ripeta gli errori del passato richiede un protagonismo locale che non può esaurirsi in un commissario o in un richiamo a potenzialità e opportunità industriali e infrastrutturali del territorio. Le proposte di transizione energetica pensate solo per sfruttare le attuali reti di trasmissione elettrica costruite al servizio delle vecchie centrali lasciano il tempo che trovano.
Brindisi, però, non può vivere solo di questo e so anche di ripetermi inascoltato.
Bisogna valorizzare anche l’agricoltura, troppo spesso ignorata. Brindisi, dopo Foggia, ha l’agro più esteso della Puglia, eppure il settore è sistematicamente trascurato, anche da chi dovrebbe rappresentarlo. Lo dimostra il silenzio sull’emergenza Xylella: uliveti scomparsi, rischio desertificazione, territori devastati. Serve una rigenerazione agricola vera, con nuove colture, forestazione, coinvolgimento dei privati. Altro che nuovi impianti fotovoltaici indiscriminati.
I dati parlano: in provincia di Brindisi il peso dell’agricoltura sul valore aggiunto è cresciuto dal 3,9% del 2005 al 6,5% del 2015, mentre l’industria è calata. Gli addetti del settore agricolo sono oltre 13.000, senza contare l’indotto agroalimentare. Brindisi con la sua ampia superficie agricola utilizzabile (SAU) e’ parte rilevante di questi dati! Eppure, il tema resta fuori dalle agende politiche.
La storia di Brindisi è legata al porto, alla campagna, al Mediterraneo. Una storia che può ancora indicare la via, se la città saprà ripensarsi partendo dalle sue risorse vere: la sua posizione, la sua gente, la sua intelligenza produttiva e imprenditoriale.
Per farlo, però, servono partiti che discutano davvero, non solo in campagna elettorale. Servono istituzioni capaci di ascoltare. Serve un nuovo protagonismo economico, politico e sociale. Serve una comunità che torni a sentirsi tale.
Altrove si corre. Qui si chiacchiera e ci si divide. È tempo di invertire la rotta.
Ripensare Brindisi significa ripensare noi stessi come cittadini. Non servono nostalgie né polemiche sterili, ma responsabilità, coraggio e un nuovo protagonismo collettivo. Io ci sto, nel mio lavoro e nel mio impegno civile. Tocca a tutti decidere se restare spettatori o diventare costruttori del futuro della città.