“COMPAGNI DI SQUADRA” E “CASA BETANIA” – UNA STORIA DI ACCOGLIENZA CHE DURA DA 24 ANNI

Associazione Compagni di Strada e Casa Betania,

una storia di accoglienza che dura da 24 anni

In un periodo in cui si parla sempre più di accoglienza e di apertura verso il prossimo, ci piace raccontare la nostra storia, iniziata a Brindisi sul finire degli anni ’90, che prosegue ogni giorno, grazie allo slancio ed all’entusiasmo di un manipolo di volontari.

Le origini

Certe storie iniziano “per un caso”, ma non sempre “per caso”. E così è accaduto per Casa Betania. Due fatti di cronaca avvenuti in tempi ravvicinati scossero, nei primi anni 90, la vita cittadina. Due senzatetto morirono in circostanze simili: uno per assideramento, l’altro bruciato mentre dormiva in un tubo di cemento che aveva scelto come sua dimora nei pressi del canale Li Patri, il canalicchio. La comunità parrocchiale di San Vito Martire, al rione Commenda, allora guidata da don Peppino Apruzzi, da tempo si andava formando sui temi della Carità, della giustizia sociale, dei diritti. Questi casi determinarono un punto di svolta tra coloro che seguivano questo cammino: non si poteva accettare che due persone morissero per strada, di freddo e di stenti nell’indifferenza generale. Si doveva agire con coraggio e dare un segno e il segno fu la costituzione dell’associazione Compagni di strada che aveva ed ha ancora oggi a distanza di 24 anni il suo luogo operativo in Casa Betania.

Casa Betania, lo spazio fisico e lo spazio umano

Il nome scelto denuncia la sua radice evangelica. Betania era il villaggio della casa degli amici di Gesù: Marta Maria e Lazzaro. Era lo spazio dell’accoglienza fraterna, il luogo del recupero delle forze, dell’ascolto, del riposo prima di riprendere il cammino. E questo è lo spirito di Casa Betania: non un dormitorio o un rifugio o una “struttura” (come si usa dire) ma una casa, un posto semplice e accogliente, caldo e rassicurante dove non si trova solo un letto pulito e un pasto caldo, ma persone che ascoltano, accompagnano per un tratto di strada, aiutano a riprendere le forze per ricominciare, offrono un’opportunità per ripartire. Nei primi anni la casa era costituita da due stanzoni con una piccola cucina e il bagno, oggi occupa un triplo appartamento (reso unico) adeguato negli spazi e nei servizi.La casa, al piano terra di un grande condominio (anche questo è un segno e una conquista), è spaziosa e comoda, ordinata e semplice negli arredi: 3 camere con 4 letti e due bagni nella zona dedicata agli uomini, 2 camere con 4 letti e 1 bagno per le donne, cucina, lavanderia, dispensa, ufficio, camera per il volontario di notte, 2 spazi comuni di soggiorno, cortile e terrazzo.

I Volontari

Nessuno dei volontari di Casa Betania è un esperto, non ci sono psicologi, sociologi, assistenti sociali, solo persone attente, cordiali, disponibili, ciascuno per la sua parte, ad accompagnare queste persone nei vari bisogni che manifestano. Suddivisi in turni settimanali si occupano di tutto: l’accoglienza, l’ascolto, la cucina, la spesa, il guardaroba, la pulizia, gli aspetti burocratici e sanitari, in un clima sereno e collaborativo. L’unica competizione è quella nel…fare bene il bene.Molte volte capita che i volontari che si accostano a Casa Betania siano essi stessi bisognosi di ascolto e di amicizia e allora Casa Betania diventa anche terapeutica per tante solitudini.

Gli ospiti

Chi bussa alla porta di Casa Betania? La più varia umanità! Stranieri e italiani, uomini e donne, bambini, giovani e anziani!

Negli anni, gli ospiti stranieri che sono arrivati hanno descritto, nel loro avvicendarsi, i cambiamenti geopolitici che avvenivano nel mondo: albanesi, rumeni, pakistani e afghani, bengalesi, siriani, ancora afghani e poi gli africani dal Senegal, dalla Nigeria, dal Ghana, dal Burkina Faso… tutti con il loro carico di fatiche, di sofferenze, ma anche di coraggio e di speranza. E le badanti dell’est Europa, con le loro numerose valigie, negli intervalli tra un servizio e l’altro. Il popolo dei migranti che lascia la propria terra per vari motivi, mai per turismo o avventura, in cerca di un futuro dignitoso.

Gli italiani che si presentano a Casa Betania sono spesso uomini soli, separati che non riescono a mantenere due nuclei familiari, sfrattati, disoccupati e questi sono i casi più difficili perché insieme alla casa o al lavoro hanno perso la speranza di potersi riprendere, ed anche le istituzioni faticano a dare loro aiuti che non siano puramente assistenziali. Più raramente e sempre per periodi molto brevi, arrivano i classici clochard che, per tanti casi della vita, hanno scelto la strada, la libertà, la solitudine, il nomadismo come forma di vita, poi i pellegrini che, zaino in spalla, percorrono le vie della fede. Volti, nomi, storie segnati nei registri, ma anche e soprattutto nel ricordo.

Alcune Storie

Ogni passaggio lascia il segno, a volte superficiale, a volte forte e duraturo e tutte le storie meriterebbero uno spazio. Lo storico Antonio, ospitato per anni, con una forte dipendenza dall’alcool, raccolto e riportato dalle panchine, dal pronto soccorso, dalla stazione, più e più volte, fino alla disintossicazione e alla sistemazione in una struttura protetta. Oggi Antonio non c’è più, ma ha vissuto gli ultimi anni seguito dignitosamente e accompagnato dall’amicizia di Casa Betania.

Jibba, un diciannovenne gambiano con seri disturbi comportamentali, forte come un bue, ma fragile e impaurito. Un’accoglienza difficile che avrebbe richiesto interventi specifici, ma che si è risolto positivamente grazie alla tenacia di chi ha insistito perché le istituzioni si facessero carico di questo “caso”. Jibba è entrato in una comunità, ora sta bene, ha raggiunto un buon equilibrio, parla bene l’italiano, è tornato a trovare la sua famiglia in Africa, è rientrato e non manca mai di mandare messaggi e foto per dirci che sta bene. Questa storia mette in evidenza un’emergenza che si sta delineando, quella dei disturbi psichici che sempre più si presentano tra i migranti sottoposti a stress, violenze, ingiustizie.

Ed ancora Arshad pakistano, che ha passato la cinquantina, nel frattempo sua moglie è morta, gli resta lo scopo della sua vita: far laureare i figli, e per questo lavora instancabilmente in un ristorante di Taranto dove è apprezzato per la sua onestà e laboriosità.

E Amin avvocato siriano di Aleppo, appartenente ad una famiglia di intellettuali, ha visto la sua antica città rasa al suolo, la famiglia dispersa, evaso dal carcere dove era sta rinchiuso perché dissidente col governo di Assad. Vicissitudini, contrattempi, ritardi nella sua storia in Italia, oggi vive in Moldavia con la moglie e il suo bambino.

Ed infine Anwar afghano, incastrato dai suoi stessi connazionali in una storia di traffico di clandestini e riabilitato nel processo, che arriva a Casa Betania sventolando il documento che lo proscioglie definitivamente dalle accuse. Oggi Anwar è capocuoco in un noto ristorante/sala cerimonie della provincia, campione di intaglio di frutta, si è ricongiunto con la moglie ed è pienamente integrato nella comunità italiana.

La rete

Da qualche anno a questa parte, la complessità delle situazioni, i numeri sempre più elevati, le esigenze di controllo da parte delle autorità hanno reso necessario che l’attività di accoglienza si svolgesse in rete con le istituzioni: Prefettura, Questura, Carabinieri, Amministrazione comunale, Servizi sociali, ASL ed altre realtà associative presenti sul territorio. I rapporti sono di piena collaborazione e di fiducia, purtroppo la burocrazia è soffocante e complicata, a volte incomprensibile e mal si adatta a risolvere questioni che richiedono interventi immediati: una famiglia sfrattata con bambini, una donna che sfugge a violenze domestiche, un anziano solo dimesso dall’ospedale. Casa Betania, nei limiti degli spazi di cui dispone, spesso interviene nell’immediato. Le emergenze purtroppo sono tante e per definizione si presentano inattese, allora si entra in un’altra dimensione che non è più quella di Casa Betania, e richiederebbe una programmazione e una sistematicità che ancora oggi non esiste.

I fondi

La prima risorsa sono gli stessi volontari che offrono il servizio gratuitamente e generosamente per circa 20 ore al giorno dalle 15,30 alle 8.00 del mattino successivo avvicendandosi in turni settimanali.La seconda risorsa importante è l’apporto riveniente dal 5×1000 che tanti amici e conoscenti ci assegnano. A questo proposito segnaliamo il nostro Codice Fiscale 91015140741 da indicare nella dichiarazione dei redditi, che insieme alla firma non costa nulla.

La terza risorsa è costituita dagli aiuti alimentari dell’AGEA. Ed infine c’è l’imponderabile e sorprendente risorsa della Provvidenza che è molto più concreta di quanto non si pensi e ha mani e nomi, si chiama Forno Cucinelli, bar Blu Moon, pizzeria Giglio, Ipercoop, e spesso non ha neanche un nome, è la parrocchia, una vicina del condominio, un pensionato, una coppia di sposi, una scolaresca, una famiglia che ha subito un lutto… e sceglie di fare un gesto di carità.

Condividi questo articolo:
Share on facebook
Share on twitter
Share on telegram
Share on whatsapp
no_fumo_torchiarolo

what you need to know

in your inbox every morning