Brindisi, ancora una volta, trattata dal governo con chiacchiere e promesse.
Venerdì scorso il Ministero dei Trasporti (Salvini, per intenderci) ha varato il decreto
interministeriale che individua i porti di Augusta e Taranto come hub strategici per l’eolico offshore
nel Mediterraneo.
Parliamo di un investimento di quasi 80 milioni di euro tra dragaggi e ammodernamento delle
infrastrutture per i due porti individuati, che però taglia completamente fuori il porto di Brindisi,
nonostante, ricordiamolo, l’Autorità portuale adriatica avesse ufficialmente avanzato la propria
candidatura unitariamente al porto ionico.
Non un euro per le opere segnalate per il porto di Brindisi e già inserite in un precedente decreto
dei mesi scorsi del Mase e che, se finanziate, seppur parzialmente, avrebbero consolidato le
infrastrutture portuali e retroportuali del nostro porto, già oggi in grado di ospitare e sostenere
produzioni complesse e che ha svolto per anni un ruolo centrale nel sistema energetico nazionale
e che, quindi, a buon titolo, dovrebbe giocare un ruolo strategico anche nella filiera dell’eolico
marino.
Invece, per ora solo impegni generici: supporto logistico e operativo, ovvero vedere partire un po’
di pale eoliche costruite altrove dalle banchine brindisine.
In realtà, l’impegno sbandierato da governo e centrodestra era ben altro, come Brindisi merita,
ovvero nel pieno della transizione energetica, di vedere valorizzata un’infrastruttura come quella
brindisina, che già oggi dà lavoro a migliaia di persone e potrebbe diventare un motore di sviluppo
sostenibile per tutto il Mezzogiorno.
Siamo felici per Taranto, e ci mancherebbe. Ma se vogliamo che l’Italia sia davvero un hub
dell’eolico offshore nel Mediterraneo, serve visione. E la visione non può fermarsi 70 chilometri
prima.
Maurizio Bruno
(Presidente del Comitato regionale
permanente della Protezione civile)
Consigliere Regionale della Puglia
(gruppo consigliare PD)