Intervento di Roberto Fusco
A Brindisi è in corso una partita decisiva, e non possiamo permettere che venga giocata sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini. Nel dibattito sulla transizione energetica e sulla riconversione di Cerano sta emergendo un’ambiguità pericolosa: si parla di un “nuovo futuro green”, ma tra le righe riaffiora l’idea che la soluzione possa essere il ritorno all’atomo o a grandi progetti calati dall’alto, senza garanzie, senza trasparenza e senza partecipazione.
Lo dico con chiarezza: se il gioco della transizione energetica è il nucleare, no grazie. Brindisi ha già pagato abbastanza. Ha pagato decenni di carbone, con impianti imposti, costi ambientali enormi, bonifiche ancora incompiute e famiglie che hanno vissuto le conseguenze di modelli industriali sbagliati. Non può e non deve pagare di nuovo.
In queste ore abbiamo assistito a dichiarazioni ottimistiche che parlano di investitori, di decine di progetti e del “più grande impianto di accumulo green al mondo” nel sito di Cerano. Ma mentre si distribuivano titoli roboanti, nessuno chiariva un punto semplice: che cosa significa davvero questa transizione per i lavoratori? Che futuro avranno gli addetti alla centrale? Che ruolo avrà il territorio? Che garanzie avrà la comunità sull’assenza di tecnologie rischiose o non condivise?
È un fatto evidente che, dietro l’enfasi, non vengono forniti né numeri reali, né piani occupazionali dettagliati, né un cronoprogramma credibile. E soprattutto non si dice che la maggioranza che governa la città ha appena bocciato la proposta del Movimento 5 Stelle – e altre sigle di opposizione – per dichiarare Brindisi “Comune denuclearizzato”.
Perché respingerla, se non per lasciare aperta una porta che i cittadini non vogliono che venga riaperta, e che gli italiani hanno già bocciato con due referendum? E allora la domanda è inevitabile: questo è il prezzo che Brindisi deve pagare per la crisi di Cerano? Accettare qualsiasi cosa pur di avere un futuro?
Il governo nazionale, intanto, dimostra una grave incapacità nel gestire le crisi industriali. L’esempio di Taranto parla da solo: la vicenda dell’ex Ilva è esplosa, con migliaia di lavoratori in cassa integrazione, impianti fermi e una città sospesa, senza un piano né una prospettiva. Nessuna soluzione, nessuna visione, nessun orizzonte. E Brindisi rischia di cadere nella stessa trappola: annunci oggi, stallo domani, e un territorio che si impoverisce mentre altri decidono per noi.
Ma Brindisi non può più permettersi una nuova stagione di illusioni. Serve un cambio di passo, fatto di scelte concrete, reali e trasparenti. La via d’uscita esiste, ed è chiara.
La prima scelta è pretendere un Accordo di Programma vincolante, sottoscritto da Regione, Governo, Comune, sindacati e azienda. Un accordo vero, non un documento vago, con impegni pubblici e verificabili: livelli occupazionali, percorsi di formazione per tutti i lavoratori, piano di bonifica serio con tempi certi, ruolo definito del porto e della logistica, garanzie che ogni investimento sia realmente utile alla comunità e non solo a pochi gruppi privati.
La seconda scelta è definire una road map energetica chiara, che escluda il nucleare e punti su alternative pulite, già mature e realmente praticabili: energie rinnovabili diffuse, comunità energetiche nelle aree industriali, accumuli regolati e trasparenti, elettrificazione della logistica, riuso intelligente delle aree bonificate, ricerca applicata e sinergie con la Cittadella della Ricerca e l’Università. Solo così si attira investimento serio, stabile e radicato.
La terza scelta è costruire un percorso di formazione territoriale che accompagni davvero i lavoratori nella transizione: tecnici per le rinnovabili, operatori per gli accumuli, esperti di bonifiche e logistica verde, manutentori specializzati. Non corsi generici ma formazione legata alle nuove attività produttive, costruita nel territorio, con percorsi validi e spendibili.
La quarta scelta riguarda la stagione delle bonifiche, perché senza bonifiche non ci sarà sviluppo. Ogni area risanata può diventare un’opportunità nuova: spazi per imprese locali, laboratori tecnologici, poli dell’energia pulita. La transizione vera nasce da qui.
Questa è la strada possibile: non propaganda, non scorciatoie, non progetti imposti, ma un patto tra istituzioni e comunità per costruire lavoro stabile, tecnologia pulita e un futuro che non dipenda più da decisioni prese altrove.
Da parte mia, l’impegno è chiaro: mi opporrò con fermezza a qualunque tentativo di imporre a Brindisi scelte non trasparenti, a partire dal nucleare, esplicito o mascherato. Difenderò la salute, la sicurezza, la dignità del lavoro e il diritto del territorio a decidere da sé.
Brindisi non è una pedina nella strategia energetica di qualcun altro. È una comunità che merita verità, garanzie, ascolto e sviluppo reale.
Ed è da questa parte – dalla parte della transizione pulita, della legalità e della partecipazione — che io starò sempre.
Se Brindisi c’è – io ci sono.