LA POLITICA PRIVA DI UNA CLASSE DIRIGENTE AUTOREVOLE…

L’applauso liberatorio di parlamentari e delegati regionali che tutti gli italiani hanno potuto vedere attraverso le dirette televisive dopo la proclamazione del Presidente Mattarella la dice lunga sulla tensione accumulata in questi incredibili giorni. Erano tutti consapevoli, i nostri “rappresentanti del popolo”, del rischio che avevano corso di perdere quel posto al sole che tutti invidiano. A salvare capre e cavoli è stato chiamato un signore ottantenne che negli ultimi sette anni ha tenuto la barra dritta anche quando comici e ballerine hanno provato a tirargli la giacchetta. Mattarella avrebbe voluto godersi la sua pensione, lontano dai fari della notorietà che indubbiamente la poltrona al colle impone. Ma il suo senso del dovere gli ha imposto di tornare sui suoi passi, di riportare gli scatoloni al Quirinale e di prepararsi a tenere nuovamente a bada questi ragazzetti indisciplinati.

Ma i leader dei partiti sbagliano se pensano di farla franca. Questa vicenda, infatti, ha cancellato quel minimo di autorevolezza che avevano ed oggi tutti sanno che non valgono nulla e che ci sarà da stare preoccupati al solo pensiero che questa gente dovrà rappresentare il paese in una fase così difficile.

Certo, il livello di responsabilità non è uguale per tutti. Nel centro sinistra ad esempio, nonostante sia un personaggio discusso e con tanti disastri politici alle spalle, chi ha fatto una figura appena dignitosa è stato Matteo Renzi, grazie ad un senso delle istituzioni che ha accompagnato ogni sua dichiarazione. E ci ha provato anche Enrico Letta e mettere il paese davanti alle ambizioni della propria forza politica, con risultati appena apprezzabili.

Pensate, invece, alle figuracce incassate dall’ex premier Conte, il quale da qualche tempo urla quando parla, quasi a voler conquistare un ruolo che i pentastellati proprio non vogliono riconoscergli. Ha incontrato tutti – anche il suo ex acerrimo nemico Salvini – ed ha stretto accordi poi puntualmente disconosciuti da Di Maio e da gran parte dei grillini. E’ il classico esempio, insomma, di un leader che parla a se stesso e che non può garantire neanche il suo voto (non essendo parlamentare) ai suoi interlocutori.

Ma il vero disastro si è consumato nel centro destra. Matteo Salvini in questa vicenda ha decretato la sua sostanziale fine politica, grazie alla manifesta incapacità di guidare la sua coalizione e di proporre al paese scelte che potessero incontrare il consenso della maggioranza parlamentare. Ha mandato “a sbattere” finanche la Casellati, seconda carica dello Stato, senza aver verificato se c’erano i numeri per farla eleggere. E si è riempito la bocca con il termine “donna”, come se potesse bastare per vincere la battaglia. In ogni dichiarazione pubblica ha provato a mitigare le figuracce giornaliere parlando delle “bollette” e delle altre priorità degli italiani. La realtà è che Matteo non ha l’autorevolezza di un leader. Una caratteristica che fino ad oggi nel centro destra aveva solo Berlusconi, ma Silvio è stato tradito intanto dai suoi colonnelli (far mancare i voti alla Casellati, nonostante le telefonate del Cavaliere, è stata l’ennesima umiliazione) e poi da Salvini che non ha compreso che per vincere avrebbe dovuto utilizzare proprio l’ala moderata della coalizione. Oggi Berlusconi non ha più niente da dire e da chiedere alla politica. Dovrebbe solo compiere l’ultimo sforzo nel tentare di individuare il suo successore e soprattutto la linea degli azzurri in un quadro politico ormai da ricomporre. Infine, Giorgia Meloni. Nessuno potrà mai accusarla di incoerenza, visto che ha fatto votare il suo candidato alla Presidenza fino all’ultima “chiama”. Ma la politica è fatta di intese, mentre lei appare come l’ultimo soldato giapponese nella giungla che non riconobbe la resa nel 1945 e continuò a combattere da solo per altri 30 anni.

Come si farà a ripartire da questo scenario devastante? Ci proveranno un presidente 80enne ed un premier 74enne, cioè il meglio che oggi questo paese sa esprimere, ma allo stesso tempo la certificata conferma del fallimento di un ricambio generazionale ormai inesistente nella politica italiana.

Mimmo Consales

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