Porto – Il “bombolone” non può essere la panacea per tutti i mali…

Per anni hanno voluto farci credere che i motivi della crisi del porto di Brindisi erano riconducibili alla cosiddetta “politica del no” che ha trovato casa negli anni scorsi nella politica locale. Se fosse stato così, a questo punto basterebbe rimuovere quei “no” e sostituirli con tanti “si” per ridare vigore alla struttura portuale brindisina. Certo, nessuno sottovaluta la gravità del fatto di aver perso finanziamenti a causa di qualche diniego ingiustificato ed anche per effetto di indagini giudiziarie che poi si sono concluse con delle assoluzioni.

Ma il problema, purtroppo, è ben più vasto. Il danno maggiore per i traffici portuali è determinato dalla conclusione (finalmente!) della movimentazione di carbone, così come di gessi e di altri reflui di lavorazione derivanti dal funzionamento della centrale Federico II. Ormai quell’impianto è definitivamente fermo per effetto del processo di decarbonizzazione avviato in più parti del pianeta. Il problema è che nel frattempo si sarebbe dovuta avviare una fase di transizione che invece è ferma al palo e quindi le conseguenze economiche ed occupazionali ricadono esclusivamente sull’economia brindisina.

Funziona il traffico di navi RO-RO ed è proprio grazie a quello che lo scalo brindisino ancora galleggia, ma è davvero poco per sperare di poter affrontare la crisi. Il tutto, anche in considerazione del fatto che per il traffico crocieristico siamo davvero poco competitivi nei confronti del porto di Bari che presto avrà anche un secondo terminal crociere, mentre a Brindisi non ne esiste neanche uno.

Come spesso accade in queste situazioni, ci si attacca davvero alla canna del gas e qui a Brindisi sono in tanti a voler far credere che la soluzione a tutti i problemi – invece di dare avvio ad un serio ed articolato programma di investimenti – sia quella di dare il via libera alla costruzione di un deposito di GNL da parte di Edison. Un impianto che potrebbe anche risultare utile (nell’ottica della transizione). Il vero problema sta nella location prescelta, sulle banchine del porto di Costa Morena che dovrebbero servire a ben altro. E poi c’è la questione principale che consiste nel rispetto delle norme di sicurezza, su cui si continua a litigare. Possono bastare cinque metri di distanza tra i confini del deposito e i binari ferroviari del porto? Per l’Autorità Portuale decisamente si e per il Consorzio Asi decisamente no. In quest’ultimo caso si fa riferimento alle norme di sicurezza che prevedono il transito di binari a 30 metri di distanza minima da impianti di questo tipo. Difficile dire chi la spunterà, ma un dato è certo: bisogna smetterla di dar vita a strumentalizazioni, facendo passare il cosiddetto “bombolone” come la panacea per tutti i mali. Perché così non è, visto che – al di là di letture chiaramente interessate – non andrà a risolvere in alcun modo la crisi del porto.

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