È stata inaugurata stasera, alla presenza del coordinatore Claudio Consales e dell’intero comitato promotore, la sede di “Brindisi sceglie NO”, in corso Garibaldi 81. Presentato anche il manifesto con i contenuti della scelta del “NO”. Ecco il testo.
MANIFESTO DI BRINDISI SCEGLIE NO
Il voto del 4 dicembre – un referendum confermativo di una riforma della Costituzione – è stato trasformato dal Presidente del Consiglio in un voto di fiducia sulla sua persona.
Comprendiamo perfettamente le ragioni di tante cittadine e cittadini che pongono il tema del “rischio” sul dopo: ma – accettando questa impostazione – si rischia di cedere proprio alla logica della personalizzazione, “senza di me la catastrofe”.
Un argomento che non può essere usato sulla Costituzione: crediamo che i valori fondanti che tengono unita una nazione siano cosa ben più importante del destino di un leader o di un partito.
Arrigo Boldrini, eletto all’Assemblea Costituente, capo partigiano, nome di battaglia Bulow, disse: “Abbiamo combattuto assieme per riconquistare la libertà per tutti: per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro…”.
Affrontiamo quindi la discussione senza drammi, con razionalità e passione, riconoscendo la legittimità di entrambe le posizioni all’interno dell’ampio campo delle forze civiche e sociali che animano il centrosinistra.
UNA RIFORMA SBAGLIATA NEL METODO
Una riforma della COSTITUZIONE di ben 47 articoli non è una riforma, ma è una nuova Costituzione e avrebbe bisogno di un’assemblea costituente eletta dal popolo, non di un Parlamento nominato con una legge elettorale dichiarata anticostituzionale!
La COSTITUZIONE non si può riformare a colpi di maggioranza.
La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della COSTITUZIONE, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione dei poteri.
La COSTITUZIONE non è una legge qualsiasi, ma è la legge fondamentale dello STATO. Essa pone i principi assoluti ed inderogabili a cui il legislatore si deve attenere e nessuna legge ordinaria può essere in contrasto con la COSTITUZIONE.
La COSTITUZIONE Italiana del 1948 racchiude in sé i grandi principi universali di democrazia, libertà individuali e collettive, laicità dello Stato, solidarietà.
La COSTITUZIONE Italiana è nata al termine di un periodo drammatico della nostra storia che parte dal 1915 con l’inutile coinvolgimento nella prima guerra mondiale, passa attraverso la dittatura fascista e finisce nel 1945 con il drammatico epilogo della seconda guerra mondiale.
Le migliori donne e i migliori uomini che la classe politica poteva esprimere trovarono spazio attraverso un’elezione popolare nell’Assemblea Costituente nel 1946, cioè di un organismo eletto direttamente dal Popolo al solo fine di individuare e stabilire le norme fondamentali che meglio potessero assicurare alla Repubblica un avvenire di vera democrazia, di pace, di libertà e di solidarietà sociale.
La nostra COSTITUZIONE nasce quindi dal pensiero e dalla grandezza di quelle donne e quegli uomini che avevano subito sulla propria vita, sulla vita delle proprie famiglie e sulla vita dei propri amici e compagni di partito i dolori e i lutti del grande buio storico dei valori durante il trentennio 1915-1945.
Il grande sforzo dei nostri Costituenti è stato quello di assicurare delle norme fondamentali che rendessero sicuro un avvenire di vera democrazia con la partecipazione del popolo alla vita dello Stato attraverso le elezioni ed attraverso gli organismi rappresentativi istituzionali ed associativi del Popolo.
La COSTITUZIONE non si può riformare in un clima di divisione.
Su una riforma della COSTITUZIONE – che dovrebbe essere la riforma più condivisa in assoluto – è stato generato un clima di divisione tale da portare a scissioni e rotture.
L’Italia attraversa un grave crisi sociale e le classi dirigenti non stanno interpretando adeguatamente questo malessere che arriva dalle categorie più fragili del Paese e tocca anche i ceti medi.
I recenti dati dell’INPS e della CARITAS confermano questo problema, che pone – tra le altre – le urgenze della precarietà del lavoro e del futuro dei giovani, delle nuove povertà e delle diseguaglianze crescenti.
Sono questioni che non dovrebbero essere direttamente collegate al referendum del 4 dicembre, ma ogni tema politico è stato portato dai sostenitori del SI nello scenario di questo voto, alimentando la divisione nel Paese, impoverito di una discussione autentica e ridotto a comitati di promozione del leader.
Una deriva che non condividiamo.
La COSTITUZIONE non si può riformare su un testo non omogeneo.
Come sollevato dal Presidente Emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, l’elettore è stato costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge.
Diversamente avverrebbe se si desse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati.
UNA RIFORMA SBAGLIATA NEL MERITO
Un Senato non democratico e con funzioni confuse.
Un Senato scarsamente rappresentativo e confuso, la complicazione del procedimento amministrativo, l’aumento del divario tra Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale, un impianto centralista.
Il superamento del bicameralismo paritario è avvenuto in modo incoerente e sbagliato: nel nuovo Senato, con funzioni confuse e a rischio inefficienza per il doppio incarico dei senatori e i tempi ristretti (ad esempio basta vedere quello che succede nella Provincia di Brindisi), non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche, sulle cui modalità di elezione ad oggi non si sa nulla salvo il fatto che non saranno elette direttamente dai cittadini.
Aumenta il divario tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale e – in generale- l’impianto della riforma è centralista.
Si prevede una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato, con rischi di incertezze e conflitti.
Nel nuovo articolo 117, due materie, tra le altre ritornano in capo allo Stato ed eliminano il potere concorrente delle regioni: l’energia e il turismo. Materie che per la nostra Puglia sono sensibili e di grande rilevanza.
Con le modifiche apportate la potestà legislativa in materia energetica ridiventa di competenza statale. Se dovesse passare la riforma, le Regioni non avrebbero più alcun diritto costituzionalmente sancito di partecipare alle decisioni dello Stato in merito ai progetti energetici( centrali di produzione, trivellazione nei mari, trasporto e infrastrutture per prodotti energetici).
Si sancirà con valore costituzionale qualsiasi decisione calata dall’alto e imposta, aldilà delle volontà delle popolazioni, dei territori e delle loro istituzioni locali e regionali. Per eliminare l’eccessivo contenzioso tra regioni e stato, prodotto dalla precedente riforma del 117 e del titolo V, si sta ricentralizzando in maniera esagerata, e pericolosa soprattutto per il mezzogiorno. Si tolgono funzioni, poteri e risorse alle istituzioni locali e alle regioni. Ma questo non vale per le 5 regioni a statuto speciale!
Insomma si torna al passato. Altro che cambiamento e richiami alla partecipazione.
Brindisi e la Puglia hanno conosciuto, hanno pagato e soffrono ancora per le politiche energetiche e per le decisioni calate dall’alto. Anche per questo Brindisi ha qualche ragione in più per scegliere No.
Lo Stato si riprende la competenza “esclusiva” su materie tipicamente regionali, come il controllo del territorio ma, si dice, solo per “dettare disposizioni generali e comuni”. E che significa questo se non che lo Stato potrà fare tutto ciò che vorrà ricorrendo anche alla “clausola di supremazia” che ripristina il principio dell’interesse nazionale.
La riduzione delle garanzie costituzionali.
C’è il rischio di un Presidente della Repubblica e di una Corte Costituzionale di parte, con il decadimento della qualità della democrazia.
Per la prima volta nella storia repubblicana la deliberazione dello stato di guerra sarebbe affidata, seppure a maggioranza assoluta, nelle mani di un unico partito!
La riduzione dei diritti dei cittadini.
La COSTITUZIONE recita all’art. 1: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Se dovesse passare la riforma, con i senatori nominati, il popolo non voterebbe per una delle due camere e quindi verrebbe lesa la sua sovranità, riducendo il diritto fondamentale costituzionalmente riconosciuto di eleggere i propri rappresentanti!
Il problema della sovrapposizione tra riforma costituzionale e nuova legge elettorale.
Diciamo si agli eletti dal voto popolare, NO ai nominati dai leader dei partiti.
Diciamo si alla democrazia e alla rappresentanza, NO ad un premio di maggioranza che porta al governo una minoranza e addirittura un solo partito.
In questi ultimi anni, la democrazia sta vivendo un autentico paradosso: mai nella storia recente è stato così alto il consenso verso questa forma di governo fondata sulla sovranità popolare, ma – al tempo stesso – giungono dalle urne preoccupanti segnali di disagio e astensione.
Accorciare la distanza tra i cittadini e i loro rappresentanti ricostruendo un clima di fiducia verso la politica e i rappresentanti nelle istituzioni è – nei tempi difficili che stiamo vivendo – un obbiettivo da perseguire con determinazione.
Pur se potrebbe risultare improprio, a rigore, il collegamento tra la riforma della Costituzione e la legge elettorale (che non è costituzionale), è impossibile non vedere il legame stretto che le unisce, tanto che l’Italicum si occupa solo dell’elezione dei membri della Camera, dando per scontato che il Senato sia quello “nuovo” previsto dalla riforma.
L’Italicum va modificato, gran parte delle Camera rischia di essere composta da nominati. Inoltre il premio di maggioranza di fatto può trasformare in maggioranza una minoranza anche esigua.
E’ necessario un sistema in grado di aiutare la “ricucitura” territoriale (per esempio con collegi uninominali), per favorire la coesione nazionale e garantire una adeguata rappresentatività parlamentare.
E’ un obiettivo da conseguire per rafforzare la democrazia italiana, a maggior ragione pensando alla riforma costituzionale che prevede una sola Camera che dà la fiducia e rafforza il ruolo del Governo nel processo legislativo a scapito del Parlamento che è l’organo deputato.
PER QUESTE RAGIONI IL 4 DICEMBRE VOTEREMO NO