“SIETE MIE SCHIAVE, PORTAMI DA MANGIARE” E SE PARLAVA LA PICCHIAVA. ARRESTATO, FINISCE L’INCUBO PER MAMMA E FIGLIA

“Tu e tua figlia siete mie schiave, portami da mangiare”, si faceva persino togliere i calzini dopo essere rientrato ubriaco a casa, e se la compagna chiedeva spiegazioni, lui la picchiava. Ma lei stanca dei soprusi, davanti alla figlia minorenne della stessa, dopo l’ennesimo pugno ha deciso di denunciare e fare arrestare quest’uomo prevaricatore.

Ieri, gli Agenti del Commissariato della Città Bianca, all’esito di un’articolata e complessa attività investigativa, hanno arrestato a Ostuni, su Ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, un soggetto del posto con l’accusa di maltrattamenti e lesioni personali aggravati ai danni dell’ex convivente.

L’uomo, P.S., 45enne, dopo le formalità di rito, è stato associato presso la Casa circondariale di Brindisi a disposizione della competente Autorità giudiziaria.

Il provvedimento limitativo della libertà personale a carico dell’uomo è la conseguenza dell’attività investigativa svolta dal Commissariato, che con un’articolata e dettagliata attività d’indagine, è riuscito a riscontrare quanto dichiarato dalla vittima in sede di denuncia.

Nello specifico, l’arrestato con più azioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, maltrattava abitualmente la convivente e la figlia minorenne di lei, ponendo in essere nei loro confronti una serie di atti lesivi dell’integrità psicofisica, dell’onore e del decoro, ingenerando, in tal modo, un continuo stato di ansia e timore psicologico e costringendole a un regime di vita mortificante e insostenibile.

In molte occasioni, in presenza della bambina, insultava e percuoteva la mamma, rivolgendole offese del tipo: “puttana, vacca” e imponendole il suo carattere prevaricatore; allo stesso modo, proferiva parolacce nei confronti della minorenne, offendendola e minacciandola di non fiatare.

Agli inizi di settembre del corrente anno, dopo aver proferito nei confronti della convivente frasi del seguente tenore “Puttana, sei una vacca…tu e tua figlia siete mie serve…mie schiave…io posso fare di voi ciò che voglio…qui comando io…se non lo fate vi ammazzo “, la colpiva con un pugno in faccia, la sbatteva sul letto e cercava di soffocarla, procurando in tal modo alla malcapitata lesioni personali giudicate guaribili in 10 giorni e alla di lei figlia, costretta a fuggire per le scale e a chiedere aiuto, “ stato ansioso post traumatico da stress”.

Con l’aggravante di aver commesso il reato di maltrattamenti in presenza ed in danno di minore tanto da costringerla a vivere in un clima di terrore e ogni qualvolta notava il patrigno in stato di ebrezza, iniziava a gridare, fuggiva, si chiudeva in cucina, iniziava a tremare e diceva alla madre “ mamma…mamma….stai zitta….non dire niente….perché se parli lui si arrabbia e ti picchia….fai tutto quello che ti dice….”. Il pomeriggio del mese di settembre l’uomo, rientrato dal lavoro in stato di ebrezza alcolica, si rivolgeva verso la vittima, le diceva “ portami da mangiare schiava”, ordinando alla figlia di togliergli le calze, aggiungendo a madre e figlia di tacere altrimenti le avrebbe ammazzate.

Una semplice e legittima richiesta di spiegazioni circa il comportamento violento tenuto e l’orco colpiva con un forte pugno in pieno volto la compagna e, sbattutala sul letto, cercava di strangolarla dinanzi alla figlia che, atterrita, scappava lungo le scale della casa chiedendo aiuto ai vicini.

Solo il sopraggiungere di alcuni di essi e ulteriori circostanze di fortuna consentivano di evitare il peggio.

L’insieme di tali condotte, afferma il GIP nell’eseguito provvedimento restrittivo- quelle indicate prima che ne costituiscono solo alcune e a titolo esemplificativo- procurava alla vittima, un perdurante e grave stato di ansia e di paura, un fondato timore per l’incolumità propria e della figlia e la costringeva ad alterare le sue abitudini di vita e segnatamente a trasferire la propria dimora abbandonando l’abitazione nonché la casa coniugale, per trovare rifugio in altro luogo.

Nel caso oggetto di attenzione, prosegue l’Autorità giudiziaria, l’unica misura proporzionata all’entità del fatto e adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari è la misura della custodia cautelare in carcere.

Misure meno afflittive quali l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento alla persona offesa non sarebbero utili a fronteggiare le esigenze cautelari, non dando adeguate garanzie l’arrestato che rispetterà le prescrizioni imposte, avendo manifestato una totale mancanza di freni inibitori, non esitando finanche a stringere le mani al collo della vittima alla presenza della figlia minorenne.

Sulla base dei riscontri del Commissariato ostunese, l’Autorità giudiziaria brindisina emetteva l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’individuo, eseguita nella giornata di lunedì u.s. da parte di personale della Squadra di Polizia giudiziaria e Volante del Commissariato.

La vicenda descritta consente di porre l’accento sull’importanza dell’atto di denuncia in generale ed, in particolar modo, in questo genere di situazioni in cui, anche una decisione ritardata di rivolgersi alla Polizia di Stato può essere fatale e rappresentare un punto di non ritorno per le vittime di soprusi e maltrattamenti di ogni genere.

La Polizia di Stato, pertanto, costantemente in prima linea nell’azione di prevenzione e di repressione dei reati rientranti nella c.d. violenza di genere, invita la collettività tutta a rivolgere alle Istituzioni competenti le dovute ed importanti segnalazioni, al fine di non dare un ulteriore possibilità di violenza ai propri aguzzini e onde bloccarli con fermezza e decisione.

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